ALA DEL NIBBIO - PIZ STAVEL DAI MIDORT

Osiccio – Casera di Mezzana – Baita Saldarello/Sugherone – Piz Stavel

    • Difficoltà : Percorso per Escursionisti Esperti T4

    Indicazioni : Assenti.

    Bollatura : Sostanzialmente assente.

    Traccia : Mulattiera – Sentiero – assente

    • Tempo di percorrenza : ca 6 [h] per la sola andata.

    • Dislivello positivo : ca 1500 [m]

    • Periodo consigliato : da tarda Primavera ad inizio Autunno.

    Solitudine, scelte di rotta vincolanti (ma mai “obbligate”), terreno faticoso (potenzialmente infido) e buona visibilità imprescindibile rendono questo bellissimo appartato itinerario alpino destinato solamente ad esperti escursionisti.

    • Disponibilità acqua : Osiccio/Canargo – Casera di Mezzana – Casera Stavello – Casera Dosso.

    • Appoggi : Bivacco del Dosso.

    • Data di stesura relazione : Primi anni venti.

Le ciclopiche proporzioni della Val Lesina ammaliano la fantasia fendendo lo sguardo, di chi la risale con gli occhi da Delebio verso il cielo, in due divergenti tronconi. Artefice di questo spacco è una tozza ma puntuta aerea cima che porta il nome di Piz Stavel. Sulla ben visibile sella che lo divide dalla sua sgraziata possente anticima esso nasconde l’incanto dell’Ala del Nibbio; ovvero un magnifico sperone di roccia rassomigliante alla foggia che il rapace fa prendere ai suoi arti piumati in volo - quando in picchiata verso la spaventata preda a valle. Quale tutt’uno straripante di contrappunti meravigliosi è la Natura! Qui addirittura colta in commovente omaggio verso sé stessa!

Le ciclopiche proporzioni della Val Lesina ammaliano la fantasia fendendo lo sguardo, di chi la risale con gli occhi da Delebio verso il cielo, in due divergenti tronconi. Artefice di questo spacco è una tozza ma puntuta aerea cima che porta il nome di Piz Stavel. Sulla ben visibile sella che lo divide dalla sua sgraziata possente anticima esso nasconde l’incanto dell’Ala del Nibbio; ovvero un magnifico sperone di roccia rassomigliante alla foggia che il rapace fa prendere ai suoi arti piumati in volo - quando in picchiata verso la spaventata preda a valle. Quale tutt’uno straripante di contrappunti meravigliosi è la Natura! Qui addirittura colta in commovente omaggio verso sé stessa!

DESCRIZIONE: Partenza dalla minuta piazzola di sosta ad Osiccio di sopra. Ritornando in breve sulla VASP “Val Lesina” al bivio si tiene la sinistra scendendo fino all’apertura del bosco di Canargo di Sopra. Superate le prime case si viene subito travolti dalla imponente corona Orobica e dalla protagonista mole del Dosso col suo sterminato vello d’abeti che non riesce tuttavia a nascondere l’alta meta alata di oggi.

In discesa si raggiunge un tornate con fontana dove un vecchio illeggibile pannello illustra sbiadito i sentieri della Val Lesina. In piano si esce tangenti dalla strada su nuova pista sterrata e, lasciate alle spalle le ultime costruzioni, poco dopo si prende un sentiero che ve ne si stacca verso valle alle indicazioni per il Dosso. Superata una frana si prosegue in piano fino a discendere con alcuni tornanti al Ponte del Dosso che guada il torrente Lesina sui resti di un impressionante smottamento dove ancora si scorge la vecchia passerella – in parte – appesa ad un ciclio franato e parte sparita portata via dalla piena.
Su storico sedime, in parte selciato ed in parte naturale ma sempre sostenuto da imponenti mura e spesso da passamano in legno, si supera con un ponticello una severa grinza di roccia del ligneo universo pregno della forma, del profumo e dell’essenza dell’abete. In località “la Posa”, lasciato a man destra la deviazione per la Baita di Mezzo e per la Casera del Dosso, si prosegue in piano superando i ruderi della Baita del Dosso. Con veloce ansa in discesa si perviene ad uno spumeggiante rivo e alla magnifica muraglia di sassi che permette di superarne la sponda opposta. Voltata la costa, nel silenzio senza tempo, umido e cupo, d’una nuova pura abetaia, grossi massi muschiati sono sparpagliati tra gli alti fusti spezzano così la morbida trapunta d’aghi intessuto in lunghi anni. Alla radura della “Baita del Burelee”, licheni sfilaccianti coprono gli scheletri d’albero in piedi – vicini armai al vociare del Lesina Orientale che invita a cantare e ad affrettare il passo. Effettuata una visita d’obbligo al Ponte di Stavello (solo un poco più a valle) il risalire, a filo rivo, è la suggestione, reale ed esaltante, d’un mondo perduto. Le ripidissime nere propaggini del Monte Pecoraro opprimo i pensieri e il tonare del torrente, la cui bianca spuma rischiara a stento la latebra del sottobosco.
Nuove volte della mulattiera risalgono velocemente la sinistra idrografica in cerca di luce tra i bianchi alfieri immobili. Ignorando il bivio per l’Alpe Stavello si entra, all’apertura d’un cancelletto di legno, nel reame magico di Mezzana. Tra amene radure e gli ultimi sprazzi d’ombra si esce finalmente allo scoperto richiamati da un imponente stallone stagliato contro una severa cinta di regali cime.

Ammaliato dalla Val Lesina, quasi stordito dal suo essere così pittoresca, avanzo traballante tra i sassi della verde radura prativa della sinistra idrografica. Tenendo leggermente la destra, rasentando il bosco, un’evidente inerbata traccia rimonta con un paio di tornanti il pendio prima d’un lungo traverso. Prima d’uno spiazzo, su d’un masso, una rugginosa croce ricorda la morte d’un ragazzino dodicenne. Un’ombra di tristezza vela la luce del giorno ma il pensiero di fermarsi qui, per sempre, preadolescente, è forse l’immagine che più riesco adesso a far avvicinare al concetto di paradiso. Ed è con questo ed altri pensieri che giungo al rudere della Baita del Saldarello.

Proseguendo all’aperto, tra tagli di larici effettuati a favore di pascolo, in direzione sud-ovest, alcuni otto bianchi cerchiati di rosso fanno capolino tra le rocce. Seguendo la traballante traccia che stentano ad evidenziare si traversa fino ad incunearsi in un collo di bottiglia laterale alla testata della grande cascata al centro del panorama gustato in Mezzana. Lo stallone e la Baita di Sugherone mi accolgono all’uscita in un inebriante girotondo di Bellezza.
Ora, abbandonati gli “otto”, si segue una traccia piana che, dipartente dalla fine del colletto da cui si è sbucati, porta ad un isolato occhio di prato sopra a Saldarello. Puntando ad un guercio fontanile alla sua sommità, liberamente si sale tra gli abeti e i larici zizagando macchie oppressive di rododendri ed ontani fino ad un aperto pianoro da cui cogliere il proseguo.

Ora la direzione da prendere ha come riferimento il piede d’una placconata rocciosa che s’incunea nel verde tappeto d’arbusti e, una volta raggiuntolo, vi si scopre un grande nove bianco cerchiato di rosso. Nel circumnavigare l’ampio conoide di roccia la progressione si fa probante; una muraglia di ginepri e rododendri in cui sprofondare fino a mezza coscia – un manto che cela alla vista fossi e asperità del terreno e sul quale scoprirsi a saltare da un masso affiorante all’altro.
Tale e tanta pena mi fa allungare gli occhi verso al cielo, alla bionda distesa d’erba punteggiata di larici che poco più avanti mi condurrà ad un’ampia e regolare sella. Lì, i miei occhi di falco, già scorgono una forma d’incubo; un barbiglio di roccia slabbratosi dal filo di cresta. Come ipnotizzato non sento più l’avvilimento dello strisciare e gli volo accanto.

Richiamato dalla sua fermezza obbedisco al suo indicare la cresta per il Piz di Stavel. Come arvicola atterrita non ho volontà distinta da quella dell’esistenza rapace che da lontano ha messo gli occhi su di me. Anche il nibbio, di cui sento affondare gli artigli nella mia carne, non può che lasciarsi comandare dal vento. Ed in questo immenso ineffabile afflato mi scopro a non poter più salire – lo sguardo, fisso non verso valle, ma diretto a cime e distanze che ancora non ho assaporato.

Quel che ho provato oggi a caccia di vecchi nove bianchi cerchiati di rosso, le emozioni e l’inserimento che sperimento nelle Ultime Terre Libere, sono la mia “prova del nove”. E, fintato che un NOVE resterà tale – senza tramutarsi con sufficienza in un SEI – potrò continuare a cercar segni su questa Via nel lungo periglioso viaggio verso la mia doppia cifra.

VIE DI FUGA : Non necessarie ma anche non presenti a causa dell’ostilità della vegetazione.
SUGGERIMENTI PER LA DISCESA : Ritornati all’Ala del Nibbio rasentando l’ampia giogaia terminale, seguendo recenti bandierine di vernice bianche e rosse (stese letteralmente a distanza di un metro l’una dall’altra!) e rarissimi nove cerchiati, per insulso percorso steso senza traccia nell’apertura forzati di ontani, pini mughi e larici si scende fino alla Baita Cima arroccata su d’una collinetta (1797 – IGM). Tenendo al poggio la destra si giunge ad un rudere e presto sulla GVO incontrata all’altezza della Casera Stavello. Di qui al Dosso e al bivio dell’andata.
OSSERVAZIONI:
– La strada (cementata) fino ad Osiccio è aperta solo previo modesto pedaggio pagabile e prenotabile online.
– Il sentiero numero “8” punta al Pizzo Alto dall’anonima larga sella al termine della Val Lesina. Ultimissimo tratto in comune con il “6” – vedere la relazione “Pizzo Alto – Cresta e Canalone Nord”
– I trialisti del Consorzio Montagna Viva che hanno in gestione con l’ERSAF le recuperate baite dell’ex Casera del Dosso meritano un plauso. Sia per l’accoglienza del Bivacco che per la pulizia del posto; ma soprattutto per la selciatura (a secco e ormai quasi completa) del sentiero che vi risale dal Ponte del Dosso. Bravi! Nonostante (o a causa de)i rumorosi giocattoloni con cui vi trastullate.

APPROFONDIMENTI

RIFERIMENTI CARTOGRAFICI :

  • Carta IGM

Zona rappresentata correttamente. Nessuna traccia, giustamente, sale al Pizo di Stavello dal traverso preso alle Baite del Sugherone. Midort indicati come “Bassetti” – solita dubbia italianizzazione forzata?

 

RIFERIMENTI BIBLIORAFICI :

  • “Alpi Orobie Over 2000 – Volume 1” – Alessio Pezzotta

ITINERARIO 30 : EE-
“Anticima nominata dai locali Ala del Nibbio” – ma perché qualcosa che da qualunque punto la si osservi appare tozza e sgraziata dovrebbe avere un nome così affilato? Comunque, relazione sbrigativa – spinta sicuramente dalla fretta del prossimo 2000.
Pizzo Stavello suggerito anche dalla cresta Nord (F+ ; II esposto) – ma, per quanto ho potuto vedere e cogliere, prettamente alpinistica.

  • www.caimorbegno.org : “PIZZO DI STAVELLO”

    Salita dalla Baita di Cima – Ala del Nibbio indicata (Come il Pezzotta) quale quadra anticima dello Stavello – Nessuno sperone roccioso nominato. Variante di discesa: Midort! E perché no? – come a voler ripercorrere integralmente il vecchio sentiero “nove” – Difficoltà: Facile.

Tutti i diritti riservati. Ogni contenuto è originale e di esclusiva proprietà  MNR – Negri “Manara” Raffaele

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