TORRE DI SIGURON - ANELLO DI GHEITA

Osiccio – Dosso – Gheita – Torre di Siguron

  • Difficoltà : Percorso per Escursionisti Esperti T6

Indicazioni : Assente.

Bollatura : Assente.

Traccia : Praticamente assente.

  • Tempo di percorrenza : ca 10 [h] per l’anello totale.

  • Dislivello positivo : ca 1300 [m]

  • Periodo consigliato : Autunno.

Da Gheita alla testata della Val Lesina Orientale percorso destinato ad avventurieri determinati, coscienziosi e ben equipaggiati – assolutamente sconsigliabile in caso di terreno bagnato o in assenza di visibilità. Per il restante anello verso la “normale al Pizzo Alto” difficoltà T4.

  • Disponibilità acqua : Casera del Dosso.

  • Appoggi : Bivacco al Dosso.

  • Data di stesura relazione : Primi anni venti.

Il ramo orientale della Val Lesina, nel suo regolare sviluppo semicircolare, termina a mezzogiorno in una larga anonima sella che la congiunge con la prospiciente Val di Luserna (uno dei rami sommitali della Val Lesina Occidentale) e, nella selvaggia area inscritta tra le due, eccovi il Pizzo Stavello ed il Monte Pim Pum. Per quest’ultimo, sembra incredibile qualunque giustificazione per un nome così squalificante se non quella di un ben poco professionale cartografo militare che abbia preso per credibili i suoni inarticolati di un qualche rozzo pastore ignorante. Questa arcigna cima, severa per forme ed austera per isolamento, era infatti nominata nelle vecchie mappe “Torre di Siguron” (letteralmente grossa ascia) dal nome del più alto degli alpeggi della Val Lesina Orientale, posto proprio sotto di esso, ed anch’esso storpiato nell’italianizzazione forzata di quegli anni in “Sugherone”. Una Torre ostile, dai balconi di ponente avari d’erba ma comunque interessati dall’ombrosa e sassosa sosta di Gheita che, quando affamata non riusciva più a dissodare ancora un po’ i suoi magri pascoli, si spingeva umilmente e pericolosamente in alto verso il gigante a guardia di un’altra amata.

Il ramo orientale della Val Lesina, nel suo regolare sviluppo semicircolare, termina a mezzogiorno in una larga anonima sella che la congiunge con la prospiciente Val di Luserna (uno dei rami sommitali della Val Lesina Occidentale) e, nella selvaggia area inscritta tra le due, eccovi il Pizzo Stavello ed il Monte Pim Pum. Per quest’ultimo, sembra incredibile qualunque giustificazione per un nome così squalificante se non quella di un ben poco professionale cartografo militare che abbia preso per credibili i suoni inarticolati di un qualche rozzo pastore ignorante. Questa arcigna cima, severa per forme ed austera per isolamento, era infatti nominata nelle vecchie mappe “Torre di Siguron” (letteralmente grossa ascia) dal nome del più alto degli alpeggi della Val Lesina Orientale, posto proprio sotto di esso, ed anch’esso storpiato nell’italianizzazione forzata di quegli anni in “Sugherone”. Una Torre ostile, dai balconi di ponente avari d’erba ma comunque interessati dall’ombrosa e sassosa sosta di Gheita che, quando affamata non riusciva più a dissodare ancora un po’ i suoi magri pascoli, si spingeva umilmente e pericolosamente in alto verso il gigante a guardia di un’altra amata.

DESCRIZIONE: Partenza dalla minuta piazzola di sosta ad Osiccio di sopra. Ritornando in breve sulla VASP “Val Lesina” al bivio si tiene la sinistra scendendo fino all’apertura del bosco di Canargo di Sopra. Superate le prime case si viene subito travolti dalla imponente corona Orobica e dalla protagonista mole del Dosso col suo sterminato vello arboreo. In discesa si raggiunge un tornate con fontana dove un vecchio illeggibile pannello illustra sbiadito i sentieri della Val Lesina. In piano si esce tangenti dalla strada su nuova pista sterrata e, lasciate alle spalle le ultime costruzioni, poco dopo si prende un sentiero che ve ne si stacca verso valle alle indicazioni per il Dosso. Superata una frana si prosegue in piano fino a discendere su nuovo tratto di pista e con essa ai Ponte del Dosso che guadano il torrente Lesina. Infatti, sui resti di un impressionante smottamento si scorge la vecchia passerella – in parte – appesa ad un ciglio franato, il basso ponte provvisorio in legno e la nuova alta oscena passerella di acciaio zincato e grate che ha giustificato il nuovo sbancamento carrabile su cui ho appena camminato.
Finalmente su storico sedime, in parte selciato ed in parte naturale ma sempre sostenuto da imponenti mura e spesso da passamano in legno, si supera con un ponticello una severa grinza di roccia del ligneo universo pregno della forma, del profumo e dell’essenza dell’abete. In località “la Posa”, lasciato a man sinistra la deviazione per il Ponte di Stavello e la Casera mezzana si prende a destra per la Baita di Mezzo e per la Casera del Dosso.
Una sterminata processione di tornanti a gomito, portano a salire velocemente. Questi, selciati quasi completamente a nuovo dai trialisti del Consorzio Montagna Viva che hanno in gestione con l’ERSAF le recuperate baite dell’ex Casera del Dosso e del super accogliente Bivacco gli fanno meritano un plauso. Bravi! Nonostante (o a causa de)i rumorosi giocattoloni con cui si trastullano.

A monte del Dosso e sul limitare del suo bel curato praticello, un bel sentiero – chiamato Gran Via delle Orobie – si muove verso Luserna, molto sapientemente e sicuramente tra burroni ed impressionanti scarpate. Quando questo si biforca su terreno più agevole, a destra verso la Casera Luserna e sinistra verso il Castel di Luserna, ecco una terza traccia poco visibile staccarsi nel prato a monte disseminato di antichissime cataste di sassi. Cumuli che sembran tumuli; il luogo giusto dove cominciare a riesumare qualcosa di morto.

Subito rinfrancata, essa sale finanche importante fuori dal bosco ad un largo pianoro dove, nei pressi d’una macchia di pionieri larici ai piedi del Piz Stavel, riposano i miseri resti della sosta di Gheita sotto lo sguardo imperscrutabile del sire Legnone.

Seguendo radi bolli CAI miseramente dispersi tra ordinate file trasversali di sassi ammontonati – alcuni dei quali veri e propri tentativi di terrazzamenti – si sale lungo il magro pascolo inefficacemente dissodato verso la severa bastionata; proprio dove questa degrada più dolcemente dopo l’essersi segnata con una cascatella. Tra ontani e rododendri oppressivi, si guadagna quota per panettoni vieppiù erbosi fino a rasentare l’inattaccabile verticalità di erba, arbusti e rocce del proseguo sulla linea di massima pendenza. Traversando quindi allora verso destra si nota una larga cengia ascendente che il colpo d’occhio bisognoso di rassicurazione fa apparire continua, comoda oltre che orlata naturalmente a valle di roccia.

Seguendola faticosamente fino a vederla stagliarsi contro cielo, si finisce su un poggio erboso che apre ad un espostissimo delicato passo sul vuoto verso il salto della cascatella addocchiata da Gheita. Su scivolosissimo greto del corso d’acqua, si risale il successivo erto roccioso tratto – aperto sul nulla – nell’aleatoria protezione di asfissianti boschetti d’ontano fino ad un nuovo lembo di cielo che schiude ingiusto e nuovi problemi.

Una traccia invita a prendere a destra, su uno scivolo erboso, ai piedi di un contrafforte roccioso che sembra conteso tra due canali. Prendendo quello meno peggio, ovvero di sinistra, eccolo però subito impennarsi obbligando a delicati passaggi su roccia marcia (II) e con la sola vaga protezione di marcescenti ontani a cui comunque esser grati. E quando un mesto ripiano sembra aprire ad un nuovo, ma meno probante, tratto del canale, per traccia a sinistra si esce dall’incubo finendo sul lunare altipiano sospeso sulla fame di Gheita nella Val di Luserna.
Per miseri manufatti in pietra, per percorso intuitivo si prosegue verso sud e, all’ombra delle megalitiche rocce della Torre di Siguron, del Pizzo Alto e della Cima di Cortese, per bella conca cilindrica si punta al valico della Val Lesina Orientale che manco un nome ha consegnato alla Storia. Forse proprio per questo, mi pare ora il posto più bello del mondo.

Completata la visita alla Torre di Siguron, spina dorsale d’un mostruoso essere di eoni fa, è ora di scendere.

Riprendendo la conca di prima si scende fino ad un balcone roccioso (bolli CAI) che aggira una nocca della cresta nord del Pizzo Alto verso occidente depositando ad un grazioso laghetto (qta 2186 CTR), poco più che una pozza che non riesce a contenere tutto il riflesso dell’austerità traboccante di forza che lo circonda.

Per stretto passaggio gradinato si scende nella sfasciumosa Val di Luserna per un’esposta sinuosa cengetta.
Una rampa in sasso ed un passaggio scavato nel sasso portano la Via nell’oblio di rododendri e di bolli messi a caso in direzione della cara Gheita di stamane.

Ma infine? L’ho salita o non l’ho salita questa ritrovata Torre? Ma che importa! L’averle ridato il suo nome me la fa sentire più mia che non l’averle messo i piedi in testa. Una montagna sacra, da girarle attorno in lungo avventuroso – sincero – errare.

VIE DI FUGA : Assenti. Alla valico con la Val Lesina Orientale si può scendere comodamente a Sugherone e alla Casera Mezzana (indicazioni assenti e traccia ballerina – vedere la relazione sulla Bocchetta di Taeggio dalla Val Lesina).
SUGGERIMENTI PER IL RITORNO : Relazione completa di discesa.
OSSERVAZIONI:
– La strada (cementata) fino ad Osiccio è aperta solo previo modesto pedaggio pagabile e prenotabile online.
– Il sentiero numero “8” punta (lato Sugherone/Mezzana) al Pizzo Alto dall’anonima larga sella al termine della Val Lesina. Ultimissimo tratto in comune con il “6” – vedere la relazione “Pizzo Alto – Cresta e Canalone Nord”

APPROFONDIMENTI

RIFERIMENTI CARTOGRAFICI :

  • Carta IGM

Zona rappresentata correttamente. Salita da Gheita al valico segnata un poco più a monte. Per me non plausibile, come lo stesso nome Pim Pum della Torre di Siguron.

 

Tutti i diritti riservati. Ogni contenuto è originale e di esclusiva proprietà  MNR – Negri “Manara” Raffaele

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