VALLE DI CAM - ZAPEL DA DAGGIO
Introbio – Via Valbona – Daggio – Zapel di Cam
Difficoltà : Percorso per Escursionisti Esperti T5/T6
Indicazioni : Assenti.
Bollatura : Assenti.
Traccia : Sentiero storico a traccia labile, a tratti assente.
Tempo di percorrenza : ca 3,5 [h]
Dislivello positivo : ca 1200 [m]
Periodo consigliato : Inizi di Primavera – tardo Autunno.
Itinerario per veri avventurieri e dai nervi particolarmente saldi. Più facile forse in direzione opposta ma decisamente introvabile e quindi improponibile a chi non conoscesse già la zona. Navigazione obbligata e selettiva su pericoloso terreno tecnico, dalla lunga letale esposizione. Terreno asciutto, ottima visibilità e tutto quant’altro potrebbe servire. Mi raccomando, attenzione.
Disponibilità acqua : Nessuna.
Appoggi : Nessuno.
Data di stesura relazione : Primi anni venti.
La Valle di Cam è tra gli angoli più maestosi e selvaggi delle Orobie Occidentali. Un osceno verticale budello di roccia; tributario del movimentato tratto iniziale della Val Biandino e disposto ad intralcio tra lo Zappello di Cam e la morbida sella erbosa a monte di Daggio. Dalla Via Valbona, all’altezza della Baita Trincera, un recondito sperduto ripido sentiero raggiunge Daggio per direttissima storica via di carico rasentandolo su sinistra idrografica molto da vicino. Ma, per conoscerlo davvero, da vicino, e saggiarne l’orrore, conviene avvicinarlo attraversandolo all’altezza della sua unica artificiale debolezza. Un perduto stretto camminamento sul vuoto; l’antica rimossa Via tra Daccio e Cobbio di cui, qui e ora, servirò solo questo indigesto sapido antipasto.
La Valle di Cam è tra gli angoli più maestosi e selvaggi delle Orobie Occidentali. Un osceno verticale budello di roccia; tributario del movimentato tratto iniziale della Val Biandino e disposto ad intralcio tra lo Zappello di Cam e la morbida sella erbosa a monte di Daggio. Dalla Via Valbona, all’altezza della Baita Trincera, un recondito sperduto ripido sentiero raggiunge Daggio per direttissima storica via di carico rasentandolo su sinistra idrografica molto da vicino. Ma, per conoscerlo davvero, da vicino, e saggiarne l’orrore, conviene avvicinarlo attraversandolo all’altezza della sua unica artificiale debolezza. Un perduto stretto camminamento sul vuoto; l’antica rimossa Via tra Daccio e Cobbio di cui, qui e ora, servirò solo questo indigesto sapido antipasto.
DESCRIZIONE: Partenza da Introbio, parcheggio di Piazza Carrobbio. Traversato l’Acquaduro, imboccare Via Partigiano Mina e poi Via Biandino. Trovata sulla destra la rampa iniziale di un’antica mulattiera acciottolata, seguirla con fede transitando davanti alla cappella dedicata a Sant’Uberto. Entrando nel secolare bosco di castagni, ad un primo bivio segnalato con magnifica lapide in pietra, tenere la sinistra. Poco innanzi ci si immette sulle ripide rampe cementate della pista per Biandino che si segue ora con noia fino al largo spiazzo del primo ponte sul Troggia. Finalmente la si abbandona per un sentiero sulla destra che, con ripida rampa sassosa, porta ad un nuovo bivio con stele in pietra. Si tiene la destra per la Via Valbona superando un ponte di tronchi. Il buon sentiero oltrepassa numerosi canali minori (Valle di Cornisella prima e dei Chignoli poi) fino ad aiutarci ad avvicinare, grazie ad alcune catene, il roccioso Canale di Cam. Un brivido gelido mi cammina lungo la spina dorsale facendomi tornare indietro. La mia strada per il suo oscuro fondo passa decisamente più alta.
Sull’opposta sponda del Troggia la tranquillità della Baita Tricera offende. Davanti a tristi ruderi d’una sosta ci si innalza verso il suo aggredito prato a monte. Tagliando verso destra bisogna infilarsi in antipatici boschetti di nocciolo che celano in una vallecola minore una piana traccia quasi completamente franata. Per distesa morenica si torna nel bosco cominciando a salire e, dopo una curva, ecco un primo tornante sorretto da muro a secco confermare l’importanza della via. Con lungo traverso in direzione SE si giunge ad un imponente ajale cominciando così a salire decisamente con ballerina traccia per radi pascoli di paglioni tra nodosi carpini e gli ultimi castagni verso le puntute sorelle della Cornisella.
Rasentando una fascia rocciosa si torna verso la dorsale in corrispondenza d’una sella rotta di massi a monte d’un aereo sperone roccioso. Lo spettacolo primigenio sulla Violenta Valle di Cam snocciolata alla fine dell’impraticabile scarpata è disturbante. A sinistra del filo alcuni ariosi tornanti invitano poi con deciso traverso a tornare verso SE per canalini e cenge su buona traccia. La più settentrionale delle selle delle sorelle va puntata per la larghezza crescente d’un faticoso conoide di materiale inconsistente ed invadenti arbusti. Verso l’uscita, con maestosi faggi, torna la traccia ed un’inondante mare di luce. Sono a Daggio.
Ora, a me, cercatore di intelligenti rispettosi segni e meravigliose storie umane di faticosa elevazione in commovente irrimediabile sbiadimento sullo sfondo d’una selvatichezza di ritorno, tocca vedere l’amenità di Daggio raggiunta da una sterrata pista camionabile. La possibilità che avevo oggi d’accontentarmi di questo nuovo vecchio sentiero non può bastare. La temuta Valle di Cam mi sembra più comprensibile ed accogliente di quanto ho appena potuto vedere.
Dall’ultimo poggio sulla sella di Daggio, proprio a picco su inquietanti denti di roccia, un marcato sentierino si stacca in piano tra isolati maestosi faggi crollando presto in uno stretto infimo canalino (esposto – I).
Raggiuntolo e discesolo un poco, appena si può si prosegue traversando quindi bassi su vaga traccia in piano. Girato attorno ad una costa di roccia si punta alti al primo dei balconi rocciosi d’uno spacco della cresta SW dello Zucco di Cam. Uno stretto intaglio di roccia nasconde una vecchia catena ed una rugginosa corda d’acciaio. Gli ancoraggi divelti o malconci non suggeriscono di affidarci alcuna speranza nel delicato raggiungimento di un’angusta cengia erbosa (esposto – I+). Procedendo su di essa si supera un gradino (esposto-I) traversando con prudenza verso NE su stretto ballatoio fino ad un faggio isolato. Buon Dio! Dove son finito?
Per stretta cengia elicoidale (esposto) si raggiunge il fondo d’un canaletto sfociante in un pendio erboso mostruosamente tronco a valle. Con delicatezza (esposto) si devia in discesa verso NE cercando possibilmente la protezione di esili isolate betulle. L’incredulità di veder ora aprirsi dietro la china un piano camminamento largo a malapena come le mie spalle ha del trascendente.
La mente non lo accetta ma lo accoglie alle strette di tutto quanto ha già dovuto subire. Rasentando mostruosamente un vuoto torci budella essa procede in altalenante sicurezza tra passaggini (molto esposti – I) di roccette ed erba. Rade piante arbustive arrivano ora a stemperare la mancanza di materia e a sostenere il procedere con le loro radici nel franaticcio tratto finale che degrada barcollante ed ubriaco all’ebrezza della Valle di Cam finalmente raggiunta.
Sconquassati e determinati a non tornare dalla pazzia di dove si proviene si attacca un dorato mare di ripidi paglioni striati di griga roccia. Stando alti una vaga traccia consente di superare una piega della montagna e di giungere ad un diroccatissimo struggente alpetto.
Per passaggi naturali ben intuibili si procede sotto altre larghe dorsali fino ad un crollato alpetto dal tetto in lamiera. Ginestre oppressive preludono ai mimetizzati ruderi della Baita Cavrè e del bianco puntino della madonnina del Zapel. Finalmente ai suoi piedi, in toccato raccoglimento, ho modo finalmente di guardarmi estasiato intorno.
Il mio (e nostro) segno di passaggio, armonioso o squallido che sia, tornerà sempre a sbiadire. Queste parole e questi schizzi verranno sommersi; il mio nome perduto tra i flutti. La costanza immutata e sempiterna però di certi familiari profili di roccia e di certe materne colossali proporzioni mi infonde la serenità più dolce. Il pensiero che l’amato palco della mia vita esiste da sempre e perdurerà al termine della mia esistenza cosciente supera ogni preoccupazione ed ogni dubbio del presente.
Le mie amate montagne, dove ho imparato – qui ed ora – a conoscermi e a godere di me stesso.
VIE DI FUGA : Assenti nei durante prima e dopo Daggio.
SUGGERIMENTI PER LA DISCESA : Dallo Zapel giù fino ai ruderi delle baite Zucchetto. Meglio conoscerla già, relazione in merito già inserita.
APPROFONDIMENTI
RIFERIMENTI CARTOGRAFICI:
• Carta IGM
Itinerario riportato correttamente…
Tutti i diritti riservati. Ogni contenuto è originale e di esclusiva proprietà MNR – Negri “Manara” Raffaele
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