SELVAGRANDE AL MELMA
Sole (Sü ) di Malavedo in Lecco – Cereda – Montalbano – Guggiarolo (Gugiaröl)
Difficoltà : Percorso per Escursionisti Esperti T3+
Indicazioni : Assenti.
Bollatura : Assente.
Traccia : Labile; seppur storica ed un tempo molto incisa, a tratti risulta assente.
Tempo di salita : ca 3 [h] per l’intero giro.
Dislivello positivo : ca 400 [m]
Periodo consigliato : Inverno – inizio di primavera.
Itinerario d’intima ricerca, per trovare dove non ci s’immaginava che qualcosa ci potesse essere.
Disponibilità acqua : Nessuna.
Appoggi : Nessuno.
Data di stesura relazione : Primi anni venti.
La Valle di Monterobbio, in faccia a Laorca, è il cuore della Selvagrande al Melma. Essa è sede delle omonime cintatissime cascine, abbracciate da una lussureggiante e decadente vegetazione, e servite da Lecco dalla commovente cieca mulattiera comunale che sale dalla “svizzera” (Via Ramello) e da un dimenticato tronco sentiero che sale dal ponticello al termine di via Crocetta. Questo itinerario, pur lontano da questa valle, si prefigge un ideale abbraccio della Selvagrande lungo due tra i più abbandonati e devastati antichi segni di intelligente fruizione del territorio. Un laccio dalla simbolica forma d’un punto interrogativo. Ma dove stiamo andando a finire?
La Valle di Monterobbio, in faccia a Laorca, è il cuore della Selvagrande al Melma. Essa è sede delle omonime cintatissime cascine, abbracciate da una lussureggiante e decadente vegetazione, e servite da Lecco dalla commovente cieca mulattiera comunale che sale dalla “svizzera” (Via Ramello) e da un dimenticato tronco sentiero che sale dal ponticello al termine di via Crocetta. Questo itinerario, pur lontano da questa valle, si prefigge un ideale abbraccio della Selvagrande lungo due tra i più abbandonati e devastati antichi segni di intelligente fruizione del territorio. Un laccio dalla simbolica forma d’un punto interrogativo. Ma dove stiamo andando a finire?
DESCRIZIONE: Partenza da Via Credee, Lecco. Qui, al Sü de Malavee, a ridosso della vecchia Lecco Ballabio, la mia attenzione è attirata da una lurida ed inerbata scalina; tutta schiacciata tra i parcheggi d’un esercizio commerciale e il muro di cemento che sorregge le incombenti verdi primizie di Selvagrande.
Un traverso franaticcio mi permette di raggiungere il livello dei tetti. Per rapida inversione sono affacciato su Corso S.Gabriele ma il sentiero mi sembra già sparito. Puntando a monte lo scopro nel calcato ingombro fondo d’un camminamento un tempo importante ma da troppo tempo in balia dell’incuria.
Con numerose costanti volte mi addentro in una curiosa ed opprimente vegetazione. Finanche un palmizio cresciuto a ridosso del sedime intralcia il proseguo. Approssimandosi ai prati a monte di Cereda un lungo traverso porta ad affacciarsi nel franato conoide d’una vallecola scavata nel tufo, dirimpetta la chiesa di Sant’Antonio Abate.
Ora posso concedermi d’uscire dall’ombra di Selvagrande in corrispondenza d’una delle ultime cascine di Cereda Superiore. Un rustico malconcio cascinale è immerso nella struggente bellezza d’uno degli ultimi scampoli della della campagna di Lecco. Un circolo di cime familiari e di aperti orizzonti mi accoglie nel suo immoto inebriante roteare.
Passandovi davanti, una strada d’erba porta alle spalle d’una seconda cascina in ristrutturazione e ai prati alle sue spalle. Una marcata antica larga traccia prosegue verso monte, quasi a voler convergere lentamente alla commovente selciata mulattiera di Cereda diretta a MontAlbano. Di nuovo sotto la volta del bosco un dedalo di rovi, arbusti e piante cadute impone pazienza nel constatare finalmente la tendenza intuita di poco prima. Finalmente sul selciato della vecchia strada comunale, un grosso masso inciso m’avvisa anacronisticamente d’esser sul confine tra (i comuni di) Laorca e San Giovanni.
Proseguendo la salita la mulattiera presto si dirama. Tenendo la sinistra scelgo un oscuro tunnel vegetale che si perde presto nella confusione appresso alla pista sterrata proveniente dal tornante della Provinciale 62 sotto a Ballabio. Strada Mandria; così si chiama questa silvo pastorale d’ante litteram. Fatta e non adoperata mai (o quasi) dagli armenti poiché la fine delle grandi transumanze era già prossima all’epoca della sua ideazione. La troncata mulattiera selciata tace così signorilmente; irraggiungibile dalla sua dimenticata incomparabile storica importanza, perduta per sempre sotto il fondo polveroso (rabberciato di cemento) del nuovo e dell’utile che avanza a passo di guerra.
Ma cosa differenzia una mulattiera selciata come quella di Cereda da una strada di modernissima fattura? Un castello medioevale su d’una rocca dal palazzo ostentante e ben in vista? Entrambi gli esempi sono infatti il massimo ritrovato tecnico della loro epoca ed entrambi hanno spazzato via il vecchiume del passato per far posto alle necessità del presente.
La fatica è l’elemento differenziale. La fatica di chi fisicamente costruì quelle opere col sudore della propria fronte, sposandole felicemente con le proporzioni e le possibilità materiali dei luoghi, pone gli esempi del passato ad un livello d’irraggiungibile armonia per la nostra età tecnologica. Una cosa fatta con fatica, visione ed amore ha sempre diritto d’esistere a questo mondo. La modernità è invece una misura falsata delle cose. Energia, risorse e proporzioni provenienti da un altrove che ha sempre l’amaro sapore di un’ingerente occupazione straniera. Troppo ignorante, ingombrante e recalcitrante per piegarsi ad esser inserita in un comodo contesto qualunque; figurarsi di portarla nella gioielleria di Terre che ancora son depositarie di una Bellezza e d’una Storia che andrebbero comprese prima ancora che studiate.
Mortificato dalla Strada Mandria ed impossibilitato a scendere, se non di straforo, nella Valle di Monterobbio, giungo fino all’asfalto della Provinciale 62. Qui un fatiscente baretto/chiosco non è sopravvissuto alla scomparsa delle chilometriche code d’auto del sabato e della domenica oggi dirottate nelle gallerie della Strada Nuova scavate nella pancia del DueMani.
Alle sue spalle, vecchie mappe, mi segnano la Strada della Casotta per Gugiaröl e, quindi, Laorca. Con fede e curiosità mi riaddentro nella selva scoprendovi un mare nauseante di rifiuti.
Arrivato finalmente a lambire i prati alti di ValPozza vi scovo un mortificatissimo antico sentiero inghiottito dai rovi cresciuti con la pulitura delle linee dell’alta tensione. Nel bosco la situazione migliora e presto giungo ad una bella isolata baita. Su largo tracciato giungo ad un’ultima radura, con fatiscente cascinale, lambita già ormai dal cemento delle ultime villette di Lecco e dalle ciclopiche proporzioni della Corna di Medale.
Qui mi abbandono ad immagini ataviche e da struggimenti dati dalla memoria di epoche che la mia età anagrafica mi impone di credere che non abbia potuto vivere. Eppure ricordo ancora di quando la Terra era una Grande Selva, e l’errare con Lei e su di Lei non era impedito da recinzioni e dalla stupida ignoranza riflessa dall’immondizia e dai segni polverosi lasciati da chi mi ha preceduto.
Ma il mio tormento è dolce, perché presto tornerà a esserlo.
VIE DI FUGA : La relazione è completa di tutti gli incroci con le comuni vie d’accesso al Melma e a Montalbano.
SUGGERIMENTI PER LA DISCESA : Mulattiera fino in Guggiarolo. Da lì al Ponte della gallina su asfalto e poi Laorca/Malavedo.
APPROFONDIMENTI
RIFERIMENTI CARTOGRAFICI :
- Carta IGM
Itinerario di salita riportato fedelmente. Strada della Casotta mancante in toto.
Tutti i diritti riservati. Ogni contenuto è originale e di esclusiva proprietà MNR – Negri “Manara” Raffaele
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