TRATTA PIAZZO LENTREE
Tremenico – Lentree - Ranco - Piazzo
• Difficoltà : Percorso per Escursionisti Esperti T5
Indicazioni : Assenti;
Bollatura : Assente;
Traccia : Mulattiera, sentiero, assente;
• Tempo di salita : ca 5[h]
• Dislivello positivo : ca 600
• Periodo consigliato : Inizio di primavera –tardo autunno.
La ripetizione di questo itinerario è destinata esclusivamente ad escursionisti esperti, sinceramente appassionati di questo genere d’ambientazione e dotati in più di spiccate capacità di orientamento, passo fermo ed un’ottima resistenza alla fatica. Da Lentree ai Ranchi, a parte alcuni tratti franati ed altri dubbi, il procedere è abbastanza facile (T3+). La ValGrande invece è un ostacolo notevole.
• Disponibilità acqua : Nessuna.
• Appoggi : Nessuno
• Data di stesura relazione: Primi anni venti.
Il proseguo della rotta Dervio – Piazzo (dopo la prima parte relazionata nella “tratta Vignago Lentree”), sempre molto difficile e sempre nell’abbandono più totale, porta, infine a destinazione. Il dramma è finito. La lunga traversata è finalmente conclusa.
Il proseguo della rotta Dervio – Piazzo (dopo la prima parte relazionata nella “tratta Vignago Lentree”), sempre molto difficile e sempre nell’abbandono più totale, porta, infine a destinazione. Il dramma è finito. La lunga traversata è finalmente conclusa.
DESCRIZIONE: Partenza dal parcheggio di Tremenico. Dallo slargo del bivio con la diramazione per i Roccoli Lorla, un bianco cartello turistico indica, per il borgo di Lentree, ad un verde camminamento che scende verso i prati sotto l’abitato. Il Monte Muggio, dall’altro lato della ValVarrone, si mostra ripido e dirupato; tutto coperto da una fitta coltre boscosa. Siamo alla presenza d’un magnifico Varco; posto proprio sulla Strada Provinciale 67.
Quello che sembra un vago sentierino, intrufolatosi nel bosco, si tramuta subito in una superba mulattiera selciata sorretta da muri a secco. Tra tratti più dissestati ed altri meglio conservati, con numerosi volteggi e traversi scende risoluta verso il fondovalle. Quasi non mi accorgo dell’asprezza del terreno che attraversa e questo la dice lunga sulla sapienza e sulla maestria costruttiva che si celano dietro ad un veloce camminare. Il rombo del torrente Varrone si fa vieppiù forte. Un ponte ad arco di pietra lo supera, disposto sopra l’orrido roccioso del suo sinuoso alveo.
Una muffosa edicola votiva apre al fianco idrografico opposto. La mulattiera è vistosamente più malconcia e trascurata quasi che le, seppur minime, attenzioni ricevute negli ultimi decenni abbiano riguardato il solo tratto fino al fiume. Essa comunque sale conducendomi al primo nucleo dello spettrale Borgo di Lentree. Vecchie case e cascinali crollati. Porte oscenamente aperte sulle travi e le piode crollate dei tetti. Vegetazione oppressiva ed invadente. Il proseguo della mulattiera lo ritrovo a stenti e, tra troppa mestizia, giungo ad un non dissimile secondo agglomerato di povere costruzioni. Le macerie e la tristezza ostruiscono la via tanto che lo stesso proseguire è un atto di ricercata volontà. Una casupola, rabboccata d’un osceno rosa, è uno della manciata di tetti in piedi delle decine e decine di edifici di Lentree. La porta spalancata su d’un balconcino è sorvegliata da una sinistra scarpa di donna e l’interno, lercio ed ingombro di sporcizia, è ributtante. Lentree è così; maledettamente in grado di tramutare in spavento anche i suoni della natura. Qui, l’abbaiare rauco d’un capriolo, il suo correre sulle foglie secche o il semplice stormire al vento delle piante provoca sobbalzi nell’animo. L’aspetto turistico resta per me un mistero; o meglio, non reputo la profondità umana media in grado di comprenderne il radicale manifesto messaggio d’una società decaduta. Un mondo dove lo sfruttamento delle risorse era subordinato al rinnovo delle stesse perché, banalmente, non ve n’erano altre. Forse l’unica dimensione autenticamente antropica della Montagna, ma miseramente tramontata. Chissà come sembreranno le nostre autostrade e i nostri palazzi, una volta crollati a pezzi e fagocitati dalla Natura. Questi ed altri allegri pensieri mi tengono compagnia arrivato al terzo, il più alto e maggiore, nucleo di Lentree. Le case degli alpigiani si mescolano a quelle dei minatori addetti alle vicine antiche cave di Feldspato. Tra di esse bisogna ricercarvi una lugubre edicola votiva dove, quella che credo sia una vecchia commovente stampa della Madonna, malamente incelofanata, è protetta da una sbrindellata rete metallica. Attraverso la marcia ed opaca plastica, son sicuro che ognuno vedrà il volto giusto per se. Madre, sorella o compagna che sia. Riparte ora la traversata per Piazzo. Sono pronto.
Sopra le ultime case, a ridosso d’una placconata rocciosa, riparte la Via. Il primo tratto, sia pur invaso da innumerevoli sedimenti di foglie, è abbastanza chiaro grazie ai muretti che cingono la mulattiera. Si rimonta una breve onda del terreno ritrovandosi in un giovane boschetto di betulle dove la traccia si fa incerta. Solo una breve successione di piode in terra aiuta a capire l’altezza della traversata. Ben presto però questa si rinfranca divenendo un pittoresco sentiero ben intagliato nel fianco della montagna e sorretto qua e là da portanti muretti a secco. Si superano numerosi canali franati ognuno dei quali interrompe la Via costringendomi a cercala di nuovo ad ogni loro attraversamento. Superata la Valle di Lavina il sentiero torna larga e superba mulattiera conducendomi magistralmente attraverso i ripidissimi fianchi boscosi del Monte Muggio. Il proseguo è però invero faticoso. La Via è ingombra di sfasciumi e interrotta sovente da piante divelte ma la superba vista sul Legnone e la Val d’Aven ripaga di ogni disagio.
Dopo molto incedere, due giri di volta introducono al vasto regno di Ranco. Quello che un tempo era un immenso aperto pascolo è ora solo un’immensa distesa di foglie, sfasciumi e piante cadute sotto l’oscura volta del bosco; un luogo silenzioso e sinistro in cui la traccia letteralmente scompare. L’unica certezza per non perdere la rotta, e quindi anche pericolosamente l’orientamento, è quella di procedere a quota costante; incontrando, o vedendo poco lontane, un’interminabile distesa di sparse e ben distanziate cascine diroccate. Il mondo di Ranco si chiude al breve ricomparire d’una scalinata di pietre che valica la rocciosa costa dei Ranchi.
Nulla cambia rispetto a poc’anzi. Una cascina apre ad un’altra e poi ad un’altra ancora. La traccia è di nuovo sparita. Un ultimo e più grosso agglomerato di case impone una vibrazione differente all’aria che vi ristagna. E’ ora di uscire da questo incubo di abbandono. Senza traccia si traversa a circa metà altezza del piccolo borgo. Si superano enormi castagni schiantati al suolo fino a cominciare a discendere su d’un cieco poggio franoso. Su di esso, allungato l’occhio verso il collasso di piante, terra e rocce verso valle, si nota un traverso in decisa discesa a sud ovest. Raggiuntolo a fatica, questo improvvisamente risulta interrotto costringendo ad un esposto traverso ingombro di foglie sopra lo sguardo attento d’un roccioso budello aperto verso il vuoto pochi metri sotto di me. L’uscita dalla Valle di Ranco è complicata. Per analogo traverso si rimonta un aiale ignorando la traccia ufficiale perchè troppo sospesa ed ingombra di foglie per poterne accettare l’azzardo. Da tale pianoro ci si cala di nuovo sulla Via proteggendosi con gli alberi presenti. Ora una pianta divelta obbliga a superarla cavalcioni combattendo la sensazione d’esser su di uno scivolo proteso. Un sentierino prosegue traballante in piano fino a scendere con alcune mirabili volte, screziate dal verde e rosa intenso dei rododendri, fino alla Val Grande dove alcuni tortuosi salti di roccia creano mirabili giochi d’acqua. L’aria apatica di morte di Ranco e Lentree sono già lontani. Questo si che è uno splendore che non tramonterà mai!
Un nuovo tratto franato apre ad un nuovo esile traverso. Una vallecola laterale, brutalmente scavata da una piena, va delicatamente superata attraverso gli imponenti muri verticali di terra e pietre smosse che la cintano. Oltre, di nuovo sul fianco della montagna è il caos. Piante divelte e microfrane creano tali ostacoli ed una tale confusione che scoraggiano. Nonostante tutto, forzata la salita e tenuta a mano la costa rocciosa volta a settentrione, la traccia ricompare. Muri a secco, gradini intagliati, volte ed aerei traversi conducono ad uno struggente verde poggio. Le radi roverelle, generose di selvaggi scorci sulla ValVarrone, e il rosa dei rododendri coronano una tra i più bei finali che io conosca.
A fatica mi decido a proseguire. Le difficoltà sono concluse e un appoggiato fianco boscoso del Muggio mi attende. Come se non bastasse un enorme sbarramento di piante cadute mi costringe ad una lunga circumnavigazione facendomi immaginare un lento e tedioso proseguo anche se, dopo, effettivamente, la traccia sembra più pulita e piana.
Nel mio esausto procedere, su d’un aiale un grosso masso porta inciso una minuta croce. Mi fermo ancora. Lascio cadere dalle mie spalle il mio amico più fedele. Mi chino e, chiusi gli occhi, la bacio. La religione non c’entra. Fede e Devozione. Solo questo. Non sono mai da solo nel mio errare. La parte per il tutto.
Riparto, di nuovo. La traccia attraversa il castagneto abbastanza chiaramente, aiutata da alcuni tagli. Per fungiatt e cacciatori questo tratto che s’appresta alla Val Larga dev’essere ancora un bel riferimento. Tra canaletti franati e vari sprazzi più aperti, dove un gran miscuglio di tracce si confondono a vicenda, la navigazione termina con l’uscita sul ripido tratto centrale d’una pista (in vero “riqualificante” copertura dello scavo per il metanodotto) che, di fatto, a Cremonno dove è ufficilmente diretta, non è riuscita a salvare alcun che. Queste opere, anche quando nascono sotto le migliori intenzioni, non possono resuscitare quanto è già morto da decenni. I tetti delle antiche cascine crollano e il bosco fagocita anche il poco prato rimasto. Questa strada agro silvo pastorale è poi pure incamminabile. Tanto ripida da dover essere cementata, costringe a innumerevoli zig zag sulla carreggiata per stemperarne la pendenza. L’esempio della vecchia mulattiera Toggiole – Cremonno, di cui restano pochi resti nel bosco, non è stato “sapientemente” seguito.
Dovrei fermarmi qui e cominciare a pensare ad avviare il lungo ritorno. In realtà proseguo sulla pista fino al valico di Piazzo. Tra il verde dei prati, l’immensa struttura della Colonia Montana, ora scuola alberghiera e cardine dell’offerta “turistica” d’un intero territorio, domina le minute povere cascine di Piazzo. Alla fine dello sterrato le mie suole calcano asfalto ma ancora non si decidono a tornare indietro. Quella minuta croce incisa mi ha ricordato la Chiesa dei SS. Quirico e Giulitta a Dervio; il luogo da cui è partito questo avventuroso viaggio nel tempo. Mi innesto sulla ritrovata Provinciale 67 e scendo verso Casargo. Voltata una curva della strada, ecco la degna fine di tutto.
La chiesetta di Santa Margherita, il più antico edificio religioso della Valsassina, è dedicata all’unica sorella di nove fratelli che, come vuole la leggenda, si ritirò a vivere in santità qui, ai piedi d’un roccione da cui sgorga acqua, quando insieme si separarono per sfuggire la miseria che li voleva far morire di fame. Essi si parlano ancora però, nelle notti d’estate al fioco lontano lume di maestosi falò. La chiesetta, con il suo stupendo abside romanico e il tetto di piode, rasenta l’importante arteria stradale. Il portico, e il suo portone, son tutti orrendamente sfregiati da vandali scritte. L’interno, che si intravede dalle feritoie sulla facciata d’ingresso, è pieno di foglie e di panche disordinate che urtano la commovente volta affrescata. Come la Via Dervio Piazzo anch’essa è depositaria di una Bellezza struggente; eppure, è stata dimenticata. Sia pur entrambe note e ben in vista, nessuno si accorge di loro. Ma ci sono! E rendono questo mondo un posto migliore. Anche io ho qualche segno addosso e qualche intima parte scricchiolante. Eppure ci sono, anche se però non so se dalla parte del Bello. Eppure resto. Eppure resisto.
VIE DI FUGA: Non presenti.
SUGGERIMENTI PER IL RITORNO: Non v’ è altra soluzione che ricalcare i propri passi.
APPROFONDIMENTI
RIFERIMENTI CARTOGRAFICI :
Carta 1:35000 “GRIGNE – RESEGONE – CAMPELLI – TRE SIGNORI – LEGNONE”
A seconda delle edizioni la tratta Dervio Piazzo è segnata alternativamente nelle porzioni Dervio – Tremenico e Tremenico Piazzo. Il tratto grafico è sempre da mulattiera.
Carta Nazionale Svizzera e IGM
Intera Via Dervio – Piazzo rappresentata con tratto da buon sentiero.
RIFERIMENTI BIBLIORAFICI :
Pietro Pensa : “ Le antiche vie di comunicazione del territtorio orientale del Lario e le loro fortificazioni”
Opera minuta ma incommensurabile. Illuminante.
Tutti i diritti riservati. Ogni contenuto è originale e di esclusiva proprietà MNR – Negri “Manara” Raffaele
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